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Strategie di mobile marketing: quali sono gli ultimi trend della comunicazione multicanale by luca nogara

Smartphone e tablet hanno frammentato il viaggio del consumatore che oggi si compone di migliaia di istanti che nascono, di volta in volta, da esigenze diverse e specifiche. Dallo ZMOT ai micro moments, come si progetta un percorso interattivo in chiave mobile che va a moltiplicare i punti di contatto tra brand e consumatori? Ecco alcuni suggerimenti utili per far crescere le opportunità di ingaggio e il fatturato sfruttando le potenzialità dello strumento tecnologico più personale di tutti: lo smartphone

fonte: digital4.biz . l'articolo originale qui

C'è la multicanalità e c'è la mobile experience. Sembrano la stessa cosa ma, in realtà, non lo sono. Gestire la mobile experience nell'era della multicanalità, infatti, significa tante cose: intercettare nuove esigenze, costruire diversi canali di relazione, progettare format di comunicazione più innovativi, immaginare touch point inediti atti a favorire le interazioni tra il mondo fisico e il mondo digitale, ragionare responsive per garantire che i messaggi siano sempre leggibili da qualsiasi dispositivo, il tutto analizzando scelte e feed back. 

Perché farlo è chiaro: l'Osservatorio Mobile B2C Strategy del Politecnico di Milano ha evidenziato come solo in Italia oggi una persona su due, in età compresa tra 18-74 anni, naviga in rete da dispositivo mobile. Prendendo a campione lo scorso novembre 2015, gli italiani presenti online sono stati 22.2 milioni: 18.4 milioni da device mobili e 12.2 milioni da desktop. In aumento anche il tempo trascorso in rete (1 h e 58 min.) con più del 70% di traffico generato da dispositivi mobili. Per il marketing questo è molto più di un target: è un business a capacità infinita, che si operi nel retail, nel manufacturing, nell'entertaiment, nei servizi, nelle utility o in qualunque altro settore. Non a caso la pubblicità in chiave mobile è salita del 53%.

Marketer, ma quanto sei phygital?

Studiare una strategia di mobile marketing efficace richiede una competenza multidisciplinare. Bisogna triangolare vision, tecnologie e skill, ragionando su due livelli: fisico e digitale. Rispetto alle strategie di marketing tradizionali, la differenza sostanziale sta nel fatto che i dispositivi mobili sono diventati dei punti di contatto strategici non solo perché le persone possono navigare, leggere i messaggi o gestire la posta elettronica. L’apertura delle e-mail da Mobile, ad esempio, è un fenomeno in rapida crescita. Secondo gli ultimi dati resi noti da Easysendy, infatti, è un’abitudine comune controllare il 90% delle proprie e-mail su uno smartphone, perciò è indispensabile sviluppare le newsletter aziendali e le campagne via e-mail progettando un design “mobile responsive”. Partiamo dal dato che, su 2,6 miliardi di utenti che usano le e-mail, 0,9 sono utenti desktop e 1,7 miliardi sono utenti mobile; riguardo l’open rate, è interessante osservare che nel settore abbigliamento il tasso di apertura da mobile è al 47%, mentre da desktop è al 53%. Nel travel & hospitality la differenza è ancora schiacciante e a favore del desktop, che arriva al 69%, contro il 31% delle aperture via mobile. Per quanto concerne le conversioni, i dati sono piuttosto simili (per esempio 70% desktop contro 30% mobile per il settore travel), tuttavia il dato sulle condivisioni delle e-mail fornisce un’informazione preziosa: gli utenti sono più propensi a condividere da mobile anziché da desktop. Infatti nel 2016 (il dato più recente), il 55% degli utenti ha condiviso da smartphone o tablet la mail ricevuta da un brand, e solo il 16% lo ha fatto da desktop.

Oggi, grazie all'uso di app ma anche di soluzioni come i qr code, i tag NFC o i beacon, smartphone e tablet consentono al marketing di innestare formule di ingaggio in cui il brand propone una call to action e il consumatore ha di fronte diverse opzioni. Questo significa saper progettare il customer journey usando non soltanto una combinazione di tecnologie per innescare l'ingaggio, ma anche di pianificare un palinsesto strutturato di azioni e di servizi associati al percorso fisico e digitale del cliente che si muove in un'area dinamica costituita da uno spazio fisico (off line) e da un universo digitale (on line).

Il tutto partendo da un presupposto fondamentale: una comunicazione di successo mobile ha bisogno di un web responsive design. Il mobile marketing deve tenere conto delle nuove tecniche di progettazione dei siti, in modo da garantire che i contenuti si adattino automaticamente al dispositivo da cui vengono letti. Senza entrare nel dettaglio significa utilizzare degli HTML adeguati al device, altrimenti i messaggi, per quanto risolti e funzionali dal punto di vista della grafica e della comunicazione, risulteranno illeggibili. 

Segue poi il tema più concettuale della call to action, legata alla progettazione di:

  • un format: banner, bottone, landing page, newsletter, SMS
  • una grafica adeguata, cioé accattivante e funzionale
  • un copy efficace, cioé ingaggiante e convincente
  • uno storytelling di riferimento, capace di creare un contesto di senso interessante
  • un percorso interattivo che va a moltiplicare i punti di contatto del brand sulla mappa del customer journey

In questo senso il marketing diventa phygital (physical & digital)

Zmot: non uno ma tantissimi micro moments

A questo proposito il Signore dei browser insegna. Google, infatti, dopo aver analizzato e identificato lo Zero Moments Of Truth (ZMOT) come istante cruciale nel processo che porta alla decisione d'acquisto, ha scoperto un altro tassello importante del customer journey: imicro moments. Il principio del ragionamento è semplice: smartphone e tablet hanno frammentato a tal punto il viaggio del consumatore che oggi si compone di migliaia di istanti che nascono, di volta in volta da esigenze diverse e specifiche.

Se lo Zmot rappresenta l’istante in cui allo stimolo segue la vera decisione che porta il consumatore a volersi impossessare di un certo bene, i micro moments sono quei momenti di interazione, per loro natura brevi e ripetuti, che moltiplicano la quantità di ZMOT rispetto al customer journey del cliente smartphone dotato.

Grazie alle peculiarità del Mobile, i brand possono studiare le loro nuove strategie di ingaggio, più precise e più personali che mai, trasformando i micro moments in punti preferenziali di contatto, che coprono qualsiasi tempo e qualsiasi luogo. Come deve cambiare l’approccio del marketing digitale per sfruttare questi momenti di interazione? Gli esperti di Google svelano il segreto: giocando di anticipo rispetto ai bisogni degli utenti, offrendo esperienze capaci di permanere nella mente del consumatore. Come? Secondo 4 regole fondamentali:

  1. Esserci Come? Moltiplicando la presenza nei diversi punti del Customer Journey, imparando a sfruttare una strategia convergente e integrata
  2. Essere utili Come? Dando ai consumatori contenuti per loro rilevanti. Content is the King vale anche in una strategia mobile
  3. Essere veloci Come? Garantendo una mobile experience intuitiva, fluida e rapida. Non ci devono essere punto di attrito o di freno
  4. Essere intelligenti Come? Misurando con precisione il ritorno delle campagne. Questo guiderà le successive scelte di comunicazione in base a dati accurati

Comunicazione bidirezionale: ascoltare per farsi ascoltare

Questa nuova bidirezionalità del mobile marketing obbliga a un ripensamento della comunicazione alla luce delle nuove possibilità offerte dai sistemi di tracciamento e misurazione dei comportamenti on line. Impression, numero di click, rapporto tra impression e click (CTR - Click Through Rate), quantità di lead o di vendite generate da un'azione di mobile marketing, ad esempio, aiutano a gestire tramite algoritmi e sistemi di analisi (Web Analytics) una serie di informazioni preziose per capire se l'andamento della strategia è più o meno efficace e intervenire in modo proattivo.

Oggi, ad esempio, l’utilizzo di tecniche di Lead Scoring consentono ai brand di analizzare le interazioni degli utenti, misurarle in ottica temporale attribuendo punteggi basati sul comportamento (behavior) e sui dati acquisiti (demographics) nelle diverse esperienze di contatto. La possibilità di comprendere in dettaglio il comportamento degli utenti giunge fino alla possibilità di predire azioni e attitudini successive, siano esse conversioni (funnel) che specifici eventi.

Le analisi aiutano a profilare al meglio gli utenti mobili e a definire servizi ad alto tasso di personalizzazione. Questo garantisce un grado di esperienza superiore, aumentando l'efficacia dell'interazione.

Uno dei vantaggi della digital transformation è che oggi esistono piattaforme per la gestione di tutti questi aspetti, che consentono di creare, distribuire e misurare le compagane di marketing in chiave mobile, risolvendo tutto il percorso della comunicazione multicanale dall'invio di un SMS alla condivisione sui social per arrivare alla pubblicazione on line di una landing page. Il tutto misurando le performance attraverso analitiche di dettaglio, secondo il miglior Big Data Management.

 

La fotografia del mobile commerce in Italia

Con una crescita del 63% rispetto al 2015, la spesa degli italiani in mobile commerce ha raggiunto, a fine 2016 (ultima rilevazione disponibile dell’Osservatorio Mobile B2C Strategy del Politecnico di Milano), quota 3,3 miliardi di euro triplicando in due anni il suo valore. Oggi arriva a pesare per ben il 17% sul giro d’affari complessivo del commercio elettronico nel Belpaese, e in alcune realtà la percentuale sale addirittura al 50%. Sul fronte dei prodotti commercializzati giocano un ruolo fondamentale sia i siti con modelli di business in cui conta l’istante d’acquisto (ad esempio i siti di “flash sales”) sia le iniziative (in primis in marketplace) che hanno investito per offrire una customer experience semplice ed efficace, ottimizzata per il canale mobile. A livello di servizi, è preponderante l’acquisto di biglietti di trasporto (aerei e ferroviari) e la prenotazione di alloggi (in hotel e case private). In generale, però, sottolineano gli esperti del Polimi, cresce la familiarità degli utenti verso gli acquisti da smartphone e tablet, con prospettive di sviluppo interessanti per tutti i settori.

Bot, assistenti personali e chatbot: il customer service nell'era dell’intelligenza artificiale by luca nogara

Software intelligenti stanno iniziando ad aiutare gli umani nelle interazioni con i clienti. Ma come? Cosa sono e come nascono i chatbot? In cosa si differenziano dagli assistenti personali digitali? Quali servizi permettono di offrire? Quali i vantaggi per le aziende? Ce lo spiega Paolo Cappello, della divisione Digital Interaction di Cefriel, il Digital Innovation and Design Shop collegato al Politecnico di Milano

fonte: digital4.biz - potete leggere l'articolo originale qui

Di chatbot sentiamo parlare sempre più spesso ultimamente, anche se non sempre è chiaro di cosa si tratta. Molti pensano che non si potrà più fare a meno di queste applicazioni per gestire le interazioni con i clienti. I detrattori, invece, sostengono che la tecnologia è ancora troppo immatura per soddisfare le richieste complesse di consumatori sempre più “esperti” e poco inclini alle attese.

Dai Robot ai Bot: una storia che ha radici lontane nel tempo

I chatbot rappresentano l’evoluzione dei cosiddetti personal digital assistant, gli assistenti personali digitali che da vent’anni aiutano gli utenti con interazioni “ricche” gestite da un bot. La parola “bot”, abbreviazione di robot, indica un programma che utilizza per le macchine gli stessi sistemi di comunicazione degli esseri umani. La loro nascita si deve al matematico inglese Alan Mathison Turing, che parla per la prima volta di intelligenza artificiale e di robot che si sostituiscono all’uomo nel lontano 1954. I bot non sono, quindi, cosa nuova. «Oggi – spiega Paolo Cappello, della divisione Digital Interaction di Cefriel, il Digital Innovation and Design Shop collegato al Politecnico di Milano – la tecnologia alla base dei bot è quella che permette alla macchina di interpretare il linguaggio parlato, il cosiddetto linguaggio naturale, unito ad algoritmi di intelligenza artificiale e autoapprendimento. Questi ultimi permettono al sistema di imparare dalle esperienze passate, evolvere e migliorare la propria accuratezza nel fornire risposte o servizi in maniera autonoma».
Nell’ultimo decennio i bot hanno iniziato a farsi conoscere dal pubblico. Famoso è IBM Watson, ma Big Blue non è la sola ad aver investito sulla tecnologia in questione. Clippy, la graffetta interattiva di Office 97 era uno dei primi esempi di bot nella forma di assistente digitale, peraltro piuttosto invadente, che oggi proliferano: Siri (Apple), Cortana (Microsoft), Google Now, Alexa (Amazon)… sono tutti software che, grazie alla capacità di saper interpretare il linguaggio naturale, migliorano la vita degli utenti. Gli assistenti digitali sono in grado di interpretare comandi vocali e in questo differiscono dai chatbot che, invece, rispondono a input di testo.

Cosa sono i chatbot?

I chatbot sono applicazioni che integrano i bot all’interno dei software di instant messaging e che si compongono di diversi elementi: l’interfaccia utente (app di chat) si integra con i servizi di elaborazione del linguaggio naturale (e gli algoritmi di intelligenza artificiale/autoapprendimento) da un lato e con il backend dell’azienda sul quale risiedono i dati da rielaborare in tempo reale dall’altro.
La prima piattaforma a introdurre questo tipo di interazioni è stata Telegram, nel giugno 2015, seguita da Skype, iMessage e WeChat. L’ultima è stata Facebook Messenger, che ha aperto la propria piattaforma alla tecnologia chatbot circa un anno fa. Da allora, però, il numero di chatbot su Facebook Messenger è andato crescendo a ritmi vertiginosi e oggi ha raggiunto quota 33mila.

Quali sono i vantaggi?

«Sicuramente la velocità e la facilità d’utilizzo - spiega Cappello -. I clienti apprezzano la possibilità di ricevere un supporto in qualsiasi momento, anche durante la notte o le feste comandate, ovunque si trovino e in tempo reale». 
Per le aziende questa opzione rappresenta un modo, tutto sommato economico, per fornire un’assistenza 24x7 ai propri clienti, sfruttando un canale di visibilità del proprio brand aggiuntivo e molto utilizzato. L’uso di questi strumenti non richiede nessuna sottoscrizione, registrazione preventiva o login… ormai sappiamo quanto è difficile ricordare username e password e la possibilità di accedere a questi servizi direttamente dalla pagina Facebook di un brand (o dal suo sito web) è particolarmente apprezzata. Si tratta, quindi, di un elemento del cosiddetto “social customer care” che negli ultimi anni assume un ruolo sempre più importante nelle strategie di vicinanza al cliente. Secondo una recente ricerca Microsoft, il 97% dei consumatori utilizza i servizi di customer care erogati attraverso i social nel processo decisionale d’acquisto e il 60% di chi lo ha provato afferma di aver cambiato azienda dopo aver riscontrato un’assistenza scadente. Un’indagine di BI Intelligence stima che sono oltre 10mila le aziende che nel 2016 hanno iniziato a sviluppare chatbot e che nel 2020 l’80% dei brand utilizzerà queste piattaformeGartner, invece, prevede che già entro fine anno solo 1/3 delle interazioni dei servizi di customer care richiederà obbligatoriamente l’interazione umana, mentre la quota rimanente potrà essere sostituita da servizi automatizzati che sfruttano l’intelligenza artificiale.

I vantaggi di una soluzione chatbot

Fonte: Cefriel

Come scovare un servizio chatbot

Per entrare in contatto con il servizio di chatbot di un’azienda su Messenger sarà sufficiente cercare il suo nome nella barra di ricerca dell’app stessa o cliccare un link visualizzato online che, generalmente, è strutturato come m.me/nomeazienda. Su Telegram, invece, sarà sufficiente digitare nella barra di ricerca @nomeazienda. Ma servizi di questo tipo sono disponibili anche per Slack o WeChat.

Come creare un chatbot

Sul web è possibile trovare servizi che permettono di creare assistenti virtuali e chatbot anche se si hanno scarse conoscenze della materia. Tra i più noti, Motion AI, MindIQ, BotChief o Rebotify. Generalmente, la loro costruzione è un processo di tipo grafico (drag-and-drop) che prevede il collegamento in cascata di una serie di moduli di domande e risposte tra loro interrelate.

«In futuro – conclude Cappello – gli sviluppi più promettenti di questo tipo di applicazioni riguarderanno gli assistenti domestici come LG Smart Hub Robot e Olly Emotech, che riconoscono l’utente e, nel caso di Olly, ne percepiscono l’umore sulla base dell’analisi del tono di voce. Interessante anche il mercato degli assistenti personali alla guida. Sperimentazioni in questo ambito arrivano dai Watson Conversation Services di IBM e da Toyota Yui, che instaurano un legame personale con il guidatore, ricordandogli fatti accaduti nei viaggi compiuti in passato e lavorando sul livello di emozioni percepito».

Gli utilizzi delle chatbot

Una distinzione fondamentale dei chatbot è legata alle loro finalità. In questo senso, sono quattro le applicazioni più rilevanti:

 

Commerce bot

Si tratta di applicazioni che permettono di navigare, visionare e acquistare prodotti senza mai abbandonare il programma di chat. Un esempio è il servizio di eCommerce su Messenger della casa di mode britannica Burberry oppure 1-800-Flowers, società americana che vende e consegna composizioni floreali solo tramite chatbot su Messenger.

Customer service bot

Sono servizi attivi 24x7x365 pronti a rispondere alle richieste dei clienti, gestire i reclami e fornire informazioni rilevanti ai fini del supporto alle vendite o alle attività post-vendita. TrackBot, disponibile su piattaforma Messenger, permette di tracciare pacchi e spedizioni di praticamente tutti i corrieri del mondo come DHL, SDA, Bartolini, GLS, UPS e TNT.
Nel panorama dei chatbot impiegati nell’assistenza clienti, si possono poi distinguere 3 sottocategorie. I front-end bot sono conversazioni intrattenute tra i clienti e algoritmi intelligenti di risposta automatica; i bot-assisted agent fanno riferimento, invece, all’interazione del cliente con un operatore (una persona) supportata o abilitata dalla tecnologia bot. Esiste, poi, una forma ibrida, che prevede un’interazione iniziale completamente automatizzata (in cui il chatbot cerca di guidare l’utente verso un albero di possibili risposte pre-configurate) e qualora il cliente non si ritenga soddisfatto lo indirizzi verso una conversazione “live” con un operatore.

Content bot

Sono chatbot che consentono agli utenti di accedere ad avvisi, news o informazioni personalizzate da un feed come quelli realizzati dal canale televisivo americano CNN o da YahooWeather, che inviano messaggi push agli utenti per aggiornarli sulle ultime notizie o su un’allerta meteo.

Event bot

Le aziende che organizzano o gestiscono per conto di altri eventi con una durata limitata nel tempo e un notevole afflusso di persone (una fiera o un concerto, per esempio) potranno trovare conveniente creare un servizio di chatbot mirato agli utenti/partecipanti, attivo solo per il tempo necessario. Esempi di questo tipo sono Eva per la piattaforma Slack o Concierge EventBot per Telegram.

Polimi, l’eCommerce B2B in Italia vale 310 miliardi: «Il 14% di tutte le interazioni business è digitale» by luca nogara

Gli scambi di informazioni e le transazioni tra imprese via web o EDI crescono del 19% in un anno. Più di metà delle grandi aziende, e una PMI su 4, usano soluzioni eProcurement, eSupply Chain Execution o Collaboration. Censiti 430 Portali B2B ed Extranet, 250 Portali eProcurement, e 150 milioni di documenti scambiati via EDI. Tutti i dati del report 2017 dell'Osservatorio Fatturazione Elettronica ed eCommerce B2B del Politecnico di Milano

fonte: digital4.biz - puoi leggere l'articolo originale qui 

310 miliardi di euro. Questo il valore raggiunto in Italia nel 2016 dall’eCommerce B2b, la gestione delle transazioni tra imprese tramite soluzioni digitali: un valore cresciuto del 19% in un anno, e che rappresenta il 14% del totale delle transazioni tra le imprese (B2B) nel nostro Paese, che nel 2016 è stato di 2200 miliardi di euro. Questi i principali dati dell’edizione 2017 dell’Osservatorio Fatturazione Elettronica ed eCommerce B2B del Politecnico di Milano, presentata stamattina.

«Il 14% del totale degli scambi B2B è un valore significativo, ma ancora marginale - ha detto Alessandro Perego, Direttore Scientifico Osservatori Digital Innovation e Responsabile Scientifico dell'Osservatorio Fatturazione Elettronica & eCommerce B2B- Sono ormai 15 anni che studiamo l’uso del digitale per gestire le transazioni e la collaborazione B2B tra le imprese: è uno dei temi meno “sexy” della digital transformation italiana, molto meno dell’Intelligenza Artificiale per esempio, eppure ne costituisce le fondamenta. È una battaglia culturale, e vogliamo contribuire a far capire che i benefici sono enormi, e vanno ben oltre quelli della dematerializzazione e della fatturazione elettronica: per questo abbiamo ampliato il nome dell’Osservatorio per comprendere tutto l’eCommerce B2B».

Automotive e Farmaceutico le filiere più "digitalizzate"

La metà del valore dell’eCommerce B2B italiano, spiega il report, si concentra nel rapporto tra produttori e rivenditori, mentre il 30% scaturisce da scambi tra produttori e fornitori, e il restante 20% dai rapporti grossisti-rivenditori e produttori-grossisti. 120mila imprese italianenel 2016 hanno usato soluzioni di eCommerce B2B, il 20% in più dell’anno precedente. Tra esse c’è oltre la metà delle grandi imprese italiane, e più di una PMI su 4.

Distinguendo per comparti merceologici, Automotive (80 miliardi di euro), Largo Consumo (65 miliardi) e Farmaceutico (18 miliardi) sono i primi 3 settori in Italia per volume di scambi di eCommerce B2B. L’Automotive si conferma al primo posto anche per l’incidenza dell’eCommerce rispetto al totale del transato B2B (ben il 70%), quasi eguagliato però dal Farmaceutico (67%).

L’Osservatorio classifica le soluzioni eCommerce B2B in tre categorie: eProcurement (ricerca, qualificazione e certificazione fornitori, negoziazione su strumenti digitali, eCatalog), eSupply Chain Execution (fasi logistiche, commerciali, amministrative e contabili), eSupply Chain Collaboration (pianificazione, sviluppo nuovi prodotti, gestione della qualità).

«Circa il 75% del valore dell'eCommerce B2b scaturisce dall’uso di applicazioni di eSupply Chain Execution, perché le imprese negli ultimi anni si sono concentrate soprattutto sul recupero di efficienza digitalizzando il Ciclo Order-to-Pay – ha spiegato Irene Facchinetti, Direttore dell'Osservatorio -. Le soluzioni di eProcurement ed eSupply Chain Collaboration invece sono usate per lo più da poche grandi imprese e incidono molto meno sui volumi complessivi scambiati».

 

Per quanto riguarda l’eSupply Chain Execution, l’Osservatorio distingue tra connessioni EDI e portali B2B/Extranet. Nel primo caso (reti EDI) oltre 150 milioni di documenti digitali (+36% rispetto al 2015) - soprattutto fatture, ordini, conferme di spedizione - sono stati scambiati nel 2016 tra oltre 12.000 imprese (+9%), il 96% delle quali appartiene a soli 5 settori: Automotive, Elettrodomestici/Elettronica di Consumo, Farmaceutico, Largo Consumo, Materiale Elettrico. Quanto a Extranet e Portali B2b, sono circa 430, utilizzati principalmente dalle grandi imprese per interagire con ecosistemi frammentati o piccole imprese.

C’è poi anche il Sistema di Interscambio (SdI) per interagire con la Pubblica Amministrazione (e non solo), già adottato al 31 dicembre 2016 da oltre 900.000 imprese, con cui l'anno scorso sono state scambiate oltre 30 milioni di Fatture Elettroniche nel Tracciato FatturaPA.

Passando all’Procurement, in Italia sono quasi 250 i grandi Portali che supportano sia i processi di selezione e qualifica dei fornitori sia le fasi di negoziazione e acquisto. Nel 60% dei casi i Portali sono cataloghi elettronici, prevalentemente per l’acquisto di beni e servizi indiretti (utensileria, articoli per ufficio, ecc.). Nel restante 40% dei casi gestiscono anche lo scambio di documenti del Ciclo dell’Ordine.

Quanto all’eSupply Chain Collaboration, l’adozione di queste soluzioni resta limitata. Fanno eccezione pochi grandi attori che hanno deciso di scambiare con clienti e/o fornitori informazioni “strategiche” (dati di sell-out, livelli di stock, piani di produzione, previsioni di vendita) oltre a quelle “operative” (Ordini, Fatture). C'è interesse per le collaborazioni nei processi di Marketing e Comunicazione (30% delle imprese), meno nello sviluppo congiunto di nuovi prodotti (14%).

Infine oltre il 60% delle grandi imprese intervistate dall'Osservatorio indica tra le priorità di investimento per i prossimi tre anni progetti digitali a supporto del ciclo Order-to-Pay, e dei processi interni (Gestione Elettronica Documentale, Conservazione Digitale). Tre imprese su 4 dichiarano tra le priorità almeno un progetto collaborativo (Marketing o Monitoraggio della Supply Chain). Prioritarie solo per un’impresa su 5, invece, le soluzioni di eProcurement.

«Tirando le somme, il valore dell'eCommerce B2b resta ancora marginale in termini di incidenza sul transato delle imprese in Italia, ma è in sensibile crescita – ha sottolineato Facchinetti -. Rispetto allo scorso anno, oltre a un incremento del dato di circa il 20%, abbiamo in generale riscontrato una maggior sensibilità delle imprese per le opportunità offerte dall’eCommerce B2b, inteso come ripensamento in chiave digitale del modo in cui un’organizzazione funziona e si relaziona con i propri clienti e fornitori. Ma deve diventare una priorità per tutte le imprese e per il Paese».